Di feste passate


Fino a 8 anni fa questo era un giorno di festa. 

Dovunque ci si trovasse (casa, Buen Retiro, vacanza) la mattina si partiva presto per andare al Paese, se non ci si era già trasferiti qualche giorno prima. Bisognava arrivare presto, perché “Ci sono troppi forestieri: si prendono tutti i posti e non c’è dove parcheggiare”. “Ma zia, anche noi siamo forestieri e occupiamo posti” “E che c’entra? Voi siete nostri nipoti!”

Appena arrivati c’erano i biscotti e il caffè, retaggio del tempo in cui, senza autostrada, ogni viaggio era un’odissea e c’era bisogno di rinfrancarsi. Anche senza odissea la tradizione si era conservata e ad essa si erano aggiunte le palline di pasta di mandorla, ricoperte di cacao che immediatamente di spargeva su tavoli, mani e nasi. I bambini cominciavano a riprendere i loro spazi, a controllare che tutto fosse al suo posto, qualora qualcuno si fosse azzardato a spostare un pallone, una macchina elettrica o una bicicletta da dove erano stati lasciati l’ultima volta.

Ognuno aveva il suo rituale: chi esplorava e chi si affacciava al balcone. “Che bell’aria, vero? Qui non c’è il caldo della città”. 

All’improvviso si sentiva la banda e allora era tutto un correre “I miracoli! Passano i miracoli!” (che poi era una varetta carica di ceri votivi a cui chi avesse ricevuto grazie portava offerte). 

“Zia, che hai cucinato?” “Le lasagne e i bracioloni, ma poi arrostisco anche la salsiccia. Ti ho preparato anche i peperoni infornati…vuoi assaggiarli, con un pezzetto di pane?” I peperoni erano sfilettati a strisce sottili e nuotavano nell’olio buono, di cui immediatamente intridevamo il pane, quel pane di semola, tagliato a fette, che era sempre il più buono. “Uscite, uscite! Portate i bambini alla villa, andate in chiesa e fategli onorare il Santo, che poi dopo, nella confusione, non lo vedranno bene”.

E il Genitore partiva coi nipoti grandi e li portava in giro pieno di orgoglio: “I miei gioielli!” e li faceva entrare alla Società a far vedere dal balcone il passeggio, mentre lui dava un’occhiata al giornale.

A pranzo bocche fameliche spazzolavano tutto e c’era sempre qualcosa di nuovo ad arrivare dal forno o dal frigo. “Com’erano le lasagne?” “Ottime come sempre! “Ho fatto io la pasta e l’ho stesa a mano.” “E’ dalle 4 che è alzata per fare il ragù e la pasta” “Ma perché, zia? Anche quelle comprate sono buone! “…ma non così! E poi mi fa piacere farle per voi!” Alla fine arrivava la guantiera con la pasta reale, intrecciata in quelle forme armoniose che solo la Zia sapeva fare. “Guarda com’è sottile la foglia. Stavolta è venuta perfetta!” “Zia, è sempre perfetta! Voi siete maestre nella pasticceria!” E loro abbassavano lo sguardo, con quel pudore non abituato ai complimenti, che nasceva dal desiderio di fare bene, sempre, per rendere felici gli altri e senza trattenere niente per sé.

A quest’ora saremmo stati tutti pronti, tutti coi vestiti della festa, in attesa dell’ora della processione. Saremmo scesi da casa tenendo per mano i bambini e ci saremmo infilati in mezzo a quella folla festante, tra le bancarelle e il vocio di venditori e acquirenti. Avremmo aspettato l’uscita dalla chiesa del Santo, poi ci saremmo spostati per vedere il passaggio da un’altra angolazione, poi avremmo atteso il ritorno del fercolo, mangiando calia e suonando le improbabili trombette di pessima plastica che il bambino di turno avrebbe desiderato come bisogno indispensabile e insostituibile.

Al rientro avremmo trovato le pizze quadrate “perché i bambini hanno fame” e avremmo atteso i fuochi d’artificio. “Mettete le giacche, ché c’è freschino” e tutti a commentare la bellezza dei giochi di luce, la durata, la novità delle forme.

“Per noi è festa quando ci siete voi”

E per noi non è più festa senza di voi.

Commenti

  1. Ho letto questo racconto e mi pareva di vedere le scene che hai descritto, le ho sentite nel cuore specialmente le ultime battute. Un abbraccio cara Dolcezze

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  2. Mi sono trovata a parlare con mio cugino di questi ricordi...e noi siamo giovani, abbiamo 40 anni ed abbiamo dovuto cancellare dalla nostra vita presente una parte di famiglia che invece fa parte di ricordi molto belli. Ora questa parte di famiglia so scopre per quello che è realmente e capiamo di doverla lasciare andare .

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    1. Io ho avuto una famiglia bellissima, piena d'amore . Per questo non riesco a "lasciare andare". Certo, la parte razionale sa bene che la vita va avanti, ma quella emotiva sente il vuoto, che solo i ricordi riescono, in parte, a colmare

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