Di storie: L'ape tardiva
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"Non
è per te" aveva detto mio padre, e io ero morta dentro. Lo conoscevo: la
sua era parola di re, non avrebbe cambiato idea. Che colpa ne aveva Tanino se
suo fratello aveva rubato del bestiame ed era finito in galera? Lui non
c'entrava con loro, lui era un bonu figghiolu e mi voleva bene. Lo vedevo da
come mi guardava, messo in piedi in fondo alla chiesa con gli altri uomini. Mi
sentivo i suoi occhi addosso, la schiena mi bruciava, ma io non mi giravo e
sbirciavo da sotto la veletta. Mi piaceva come lui mi guardava. Era bello
Tanino. Aveva gli occhi celesti (“occhi di gatto” diceva mia madre) ed era alto
e forte, con le spalle grandi, onesto e lavoratore. Aveva mandato sua sorella
Maria per dichiararsi, voleva sapere se io corrispondevo, prima di andare da
mio padre. Io avevo detto di sì, ma mio padre non l'aveva nemmeno voluto
ricevere: "Noi siamo una famiglia onorata, non ne vogliamo gente con le
carte macchiate". Non era servito a niente ricordare che le sue carte
erano bianche come la neve: ormai la famiglia sua era disonorata.
Maria mi
aveva portato un biglietto: "Scappamu. T'aspettu stasira a
menzanotti". Ma io non potevo andare. Non era così che volevo uscire da
casa mia, di nascosto, di notte, come una ladra. Volevo andare a testa alta
incontro al mio sposo, accompagnata da mio padre, con la benedizione del
Signore. Gli dissi di no. Provai a parlare ancora con mio padre, ma aveva la
testa troppo dura: "Se non sposo Tanino, non sposerò nessuno". E così
fu. Anch’io ho la testa dura.
Lui
partì per il continente, io rimasi al paese. Smisi di ricamare il mio corredo e
regalai a mia sorella che si sposava le lenzuola e le tovaglie che fin da
ragazzina avevo preparato per me e che dovevano accompagnare la mia vita di
sposa: la prima notte, i battesimi, i fidanzamenti dei figli. Non volli tenere
nulla.
Mia
mamma si mangiava le mani: la figlia bella e brava, l’invidia di tutto il
vicinato, stava invecchiando in casa. A me non importava: o Tanino o nessuno,
l’avevo giurato. Le comari, mi portavano i matrimoni: “C’è Nicola che ti vuole.
L’ha detto pure a tuo padre”. “Ha chiesto di te Pasqualino: te lo ricordi? Il
figlio di comare Nunzia!”. Pure il prete venne: “Accetta un buon marito. I tuoi
fratelli si sono sposati tutti. Quando moriranno i tuoi genitori come camperai?
Dovrai andare a elemosinare da loro. E poi non sta bene una femmina sola: la
gente trova sempre da parlare”. ”So cucire, patri parrinu, e so ricamare.
Camperò così”.
Poi,
qualche anno dopo, seppi che lui si era sposato con una del Nord. ”Che vuoi?
Solo era, tra estranei. Aveva bisogno di un po’ di affetto”, mi disse Maria, e
io mi imposi di non pensare più a lui. Quando qualche immagine si presentava
alla mia mente, la respingevo tra le lacrime. Mai mio padre mi chiese scusa, ma
io lo perdonai lo stesso: troppo forte era in lui il senso dell’onore e quando,
in punto di morte, lui, sempre così schivo, mi fece una carezza, capii che, a
suo modo, voleva dirmi che la sua scelta era stata dettata solo dall’amore.
Servii
mia madre fino alla fine e nel frattempo crescevo i miei nipoti: la mia vita
era molto piena e non avevo tempo per pensare. Mi dovevo occupare di lei e pure
lavorare. Certo, di tanto in tanto mi chiedevo come sarebbe stato abbracciare
un figlio mio e vedere in lui gli occhi di Tanino o le mani mie, ma poi
allontanavo il pensiero: doveva andare così, evidentemente. Come vuole Dio. Le
giornate, le settimane e i mesi volavano e una mattina, guardandomi allo
specchio con meno fretta del solito, vidi un volto stanco, con piccole rughe
attorno alle labbra, con ciuffi di capelli bianchi. La mia vita se n’era andata
e, ora che mia madre era morta, veramente ero rimasta sola. Come vuole Dio.
Avevo
la giornata da riorganizzare: con mamma morta e i nipoti cresciuti avevo tanto
tempo a disposizione. Prima di tutto tolsi da casa tutto ciò che mi evocava
brutti ricordi, poi mi misi in testa che dovevo rinnovare la vecchia cassapanca
e, aprendola, trovai dentro le mie lenzuola, le tovaglie e gli asciugamani del
mio corredo: mia sorella non se li era presi, ma li aveva lasciati lì, in
attesa che io cambiassi idea. Che sciocca! Eppure, guardandoli, fui presa da
una strana tenerezza: dentro c’erano tutti i miei sogni e le mie speranze di
ragazza. Chissà come sarebbe stata la mia vita se quella sera fossi uscita
dalla porta sul retro e avessi seguito Tanino. E chissà come stava lui…Maria
era morta con una brutta malattia e non avevo saputo più nulla. Non era neanche
venuto per il suo funerale. Me l’aveva detto mia sorella, che c’era andata. Io
invece ero rimasta a casa con la scusa di mia madre, proprio perché avevo paura
di incontrarlo. In tutti questi anni io ad agosto non uscivo da casa neanche per
la messa, perché sapevo che Tanino veniva per le ferie con sua moglie, la
continentale, e i suoi due figli, che non erano i miei: mi avrebbe fatto troppo
male incrociarli. Poi forse lui avrebbe detto: “Vedi, quella poteva essere mia
moglie, ma suo padre ce l’ha impedito e lei non mi amava abbastanza”. E invece
io lo amavo, ma non ero pentita: lo volevo a Tanino, ma con le carte in regola.
I suoi figli non avrebbero capito, sua moglie nemmeno, e forse avrebbero deriso
quella serietà d’altri tempi, che non mi aveva portato a niente. Basta, come
vuole Dio.
Tiro
fuori la biancheria. E’ ingiallita, devo lavarla e metterla al sole. Quando
sarà di nuovo bianca la dividerò fra le mie nipoti: anche se sono moderne e
odiano stirare la conoscono la roba buona e saranno contente di averla.
Sono
nel cortile a strofinare le macchie sulla pila, quando alzo gli occhi e lo
vedo. E’ fermo davanti al cancello. Non ha più molti capelli e quei pochi
rimasti sono bianchi, ma i suoi occhi di gatto sono uguali. “Sono tornato”.
Non so
che fare, non so che dire. La piccola parte di civetteria che mi è rimasta mi
ricorda che sono scarmigliata, con le maniche arrotolate e il grembiulone sul
vestito nero del lutto. Quanto ho desiderato (almeno nei sogni) questo
incontro, quanto ho sperato che un giorno bussasse di nuovo alla mia porta,
come un cavaliere sul suo cavallo bianco! E ora è qua e io sono impietrita e
non riesco a dire nulla. “So che i tuoi sono morti. Anche mia moglie è morta,
poverina, subito dopo Maria. Per questo non sono venuto allora. Sono rimasto là
per i miei figli, ma ora loro se ne sono andati: mia figlia si è sposata, mio
figlio lavora a Dubai e io sono tornato a casa. Non ti ho mai dimenticato,
Lucia. Ormai siamo grandi, ma, se tu mi vuoi ancora, io ti voglio ancora.
Stavolta solo tu ti puoi opporre e nessun altro”.
Ci
siamo sposati il mese scorso e Tanino ha preteso che io indossassi l’abito
bianco col velo, come se fossi una giovane sposa. Io non volevo: “Ho quasi
sessant’anni, i capelli bianchi e le rughe, così la gente ci riderà dietro!”
“Tu per me hai sempre diciott’anni e la treccia nera. Abbiamo perso
quarant’anni, ora dobbiamo recuperare”. Ho preparato il letto con le mie
lenzuola belle e apparecchiato la tavola con la tovaglia buona. Per i battesimi
aspettiamo i nipoti perché, sì, sono adesso una novella sposa con due figli
grandi, che hanno sempre saputo di me e mi hanno amata dall’inizio.
Adesso,
finalmente, ho anch’io la mia parte di felicità.
Lo so che è una bella storia, e anche scritta bene. Ma non sono mai, mai, mai riuscita a credere che prendere in considerazione l'opinione di un genitore, anche il più bravo, anche il più benintenzionato, sugli affari di cuore fosse cosa da farsi.
RispondiEliminaLa questione invece è molto più diffusa di quanto si pensi - anche perché spesso l'obbedienza filiale di questo tipo è talmente interiorizzata che si finisce addirittura per scambiare per propria libera scelta quello che è un divieto esterno.
Insomma, a modo suo è una storia profondamente attuale.
Bellissimo racconto complimenti! Chissà quante ragazze sono state sacrificate per il buon nome della famiglia.
RispondiEliminaIo non credo in questi amori eterni, forse una volta ma oggi nessuna donna si farebbe comandare da suo padre e non perdonerebber mai il matrimonio del suo perduto amore.Ma i tempi sono cambiati e questo racconto mi rimanda a Verga, a Capuano, autori che amo immensamente e che tu hai riportato alla grande con la tua scrittura ricca di sensibilità e nostalgia.