Sono al quinto libro della Ernaux e qui mi scontro non tanto con la storia della sua vita (tutte le opere lette finora sono autobiografiche), quanto con la storia di un'emancipazione femminile mai veramente compiuta. La scrittrice ci ricorda come, nonostante le lotte sociali, gli studi, la filosofia, le idee di libertà e di indipendenza, il suo percorso fosse, comunque, indirizzato al matrimonio.
Le non sposate sono zitelle, apparentemente libere, ma in realtà sole; la vita matrimoniale è invece perfetta per la donna, che ha modo di realizzare la sua natura di sposa e di madre. Per questo, in maniera quasi inconsapevole, si trova con un marito, un figlio e una casa da gestire nella quotidianità ed è costretta a ritagliarsi, con estrema fatica, solo pochi momenti per realizzare il suo progetto di divenire insegnante. La vita della casalinga si rivela una trappola, mentre il marito, grazie al suo supporto, si avvia a una folgorante carriera.
E il dramma di cui lei è consapevole è che per tutte le donne del suo mondo ciò che conta è il successo lavorativo degli uomini e non il proprio.
Con la sua caparbietà, però, l'autrice comincia a lavorare nella scuola, nonostante il senso di colpa dell'"abbandono" del figlio a una baby sitter. Dovrebbe sentirsi realizzata, nel momento in cui può relazionarsi con adulti, donare il suo sapere, confrontarsi con alunni e colleghi, "fare carriera", ma ben presto si rende conto che lei non ha il tempo per instaurare public relations o, banalmente, fermarsi a chiacchierare alla fine del lavoro: lei deve tornare a casa e prima fare la spesa, perché altrimenti non si mangia. E se il marito, al rientro, si aspetta di trovare il cibo in tavola e può mettersi in poltrona a leggere il giornale, il suo lavoro non finisce mai e, soprattutto, è dovuto.
"Sono finiti senza che me ne accorgessi, i miei anni di apprendistato. Dopo arriva l'abitudine. Una somma di intimi rumori d'interno, macinacaffè, pentole, una professoressa sobria, la moglie di un quadro che per uscire si veste Cacharel o Rodiel. Una donna gelata."
E in questa "donna gelata" mi sono riconosciuta anch'io perché, nonostante lo scorrere degli anni, ancora la mia generazione paga lo scotto della suddivisione dei ruoli e l'emancipazione femminile altro non è che un doppio lavoro per le donne.
Lo stile della Ernaux scarno, essenziale, duro per certi versi, riesce a esprimere in pienezza il suo tormento di donna e di madre, ma anche la consapevolezza delle capacità e della forza femminile: "Incredibile la capacità di sopportazione di una donna, la chiamano cuore".
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