Dei libri dell'anno 69 : L'albatro
Passato e presente si
incrociano in una storia di infanzia e di maturità, in cui vita e morte si
intrecciano e si scopre il senso della vita nel suo contrario.
Un uomo. E il bambino che
fu. Forse così possiamo introdurre il bellissimo romanzo della Lo Iacono,
L’albatro.
C’è un uomo malato,
ricoverato a Roma, lontano da casa, che spera di guarire e ritrova in sogno il
suo amico, Antonno, che lo ha accompagnato in un periodo importante della sua
vita. Quest’uomo è Giuseppe Tomasi di Lampedusa e i lettori che hanno amato Il Gattopardo
non possono non trovare continui rimandi all’opera, nella presentazione dei
luoghi, nella nobiltà siciliana ormai proiettata verso un inevitabile declino,
nel senso di morte che aleggia nella calda sensualità dell’estate siciliana e
nella magia delle fonti incantate e dei palazzi con innumerevoli stanze. Conosciamo così i retroscena della
composizione del romanzo, i problemi della pubblicazione, le vicende private
dell’autore, come la sua storia d’amore con la moglie o il rapporto con la
madre, ma ciò che è colpisce di più è il confronto con Antonno, l’amico di
giochi, con cui ha condiviso l’estate in cui ha imparato a leggere e scrivere e
ha conosciuto la vita e la morte.
Antonno è decisamente
originale: vive in un mondo al contrario, in cui abbandonare è trattenere, la
destra è la sinistra e il nascere è morire. Antonno non ha molte parole, ma
accompagna “u principuzzu” in ogni sua ricerca e in ogni sua scoperta, come l’albatro
che, fedele, non abbandona mai il capitano della nave che segue, fino alla fine.
Giuseppe ha tante domande, ma nessuno gli dà le risposte, perché i bambini,
all’inizio del Novecento, devono essere tenuti fuori dai misteri della vita.
Lui non capisce il perché del pianto della madre ogni anno il 5 gennaio, né
comprende la natura del malessere della sua maestra. Il disvelamento sarà
progressivo, e si realizzerà in uno spettacolo teatrale, in cui il bambino
comprenderà, pirandellianamente, che il teatro forse è verità e forse è la vita
ad essere teatro.
Il tutto in un bellissimo
quadro di inizio Novecento, con la Palermo dei Florio in cui la nobiltà esprime
il suo canto del cigno, senza accorgersi della nube nera che si addensa su di
lei, così come il vecchio e fedele amministratore non smette di presagire.
“C’è una risposta alla
morte, ed è la poesia. C’è un rimedio al tempo, ed è la scrittura” ci
dice il protagonista, e lo fa con il meraviglioso periodare della scrittrice,
che riesce a dar voce al viaggio dentro di sé del “principuzzo” e di tutti noi,
chiamati ad eternare la bellezza della memoria.
Un libro che non conoscevo cara Dolcezze.
RispondiEliminaGrazie per avercene parlato.
Un abbraccio
Maria
Simona Lo Iacono é una scrittrice fantastica però questo romanzo, non so perché, non mi attraeva. La tua bellissima recensione mi ha fatto ricredere, lo leggerò. Grazie!!!!
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