Dei libri dell'anno 19: Via Katalin
In questa estate strana, e non
solo dal punto di vista climatico, non sono stata molto attiva. Il mio lavoro
all’uncinetto langue (anche se una tendina è finita), di ricamo neanche l’ombra
e tutto il tempo è stato occupato dalla preparazione dei cadeaux per i 18 anni
dell’Erede che si avvicinano.
Anche di libri ne ho letti pochi perché,
come detto qui, è mancata la tranquillità in spiaggia e anche a casa la
gestione è stata più asfissiante del solito.
Pochi libri, ma buoni. A parte i
miei gialli, ho continuato con la lettura della Szabò.
Via Katalin è il quarto romanzo di questa scrittice di cui parlo in questo appuntamento del Venerdì del Libro (gli altri qui, qui e qui), e ancora oggi mi devo ripetere sulla sua grandezza, sulla sua potenza espressiva e sulla profondità della sua riflessione.
Via Katalin è un romanzo corale, in cui i protagonisti sono
tanti e la narrazione è quasi sempre mediata dal punto di vista di ognuno di
loro. Questo fa sì che, soprattutto nelle prime pagine, si resti un po’
disorientati e si faccia fatica ad individuare il filo del discorso.
E’ la storia di tre famiglie, che abitano, appunto, in via
Katalin, con quattro bambini, Irén, Blanka, Henriett e Bàlint che crescono
negli anni che vanno dal 1934 alla fine degli anni ’60. Le loro vicende si
intrecciano con quelle più o meno tragiche dell’Ungheria di quegli anni, ma il
romanzo, lungi dall’essere una riflessione storico-politica è un’analisi,
dolorosa e bellissima, sul tema del ricordo, sulle illusioni della gioventù
destinate a cadere “all’apparir del vero” e sulla difficoltà di crescere e
diventare uomini e donne.
Irén è la bambina, poi ragazza, poi donna perfetta (un po’
come la protagonista della Ballata di Iza), ma troppo concentrata su ciò che “deve”
essere, su ciò che ritiene giusto e “suo dovere”, per poter riconoscere l’amore
di Blanka o la dedizione di Pali.
Blanka è quella confusa, disordinata, capace di gesti orribili, ma,
comunque, piena di amore.
Bella la figura di Pali, devoto sposo che capisce di essere
di troppo, perché incapace di decodificare frasi, gesti e pensieri che fanno
parte di un mondo che non c’è più.
Balint è, forse, il personaggio più inquietante, per la debolezza
che lo caratterizza. In qualche modo è l’emblema dell’uomo incapace di
affrontare con maturità le sue scelte esistenziali, al punto da considerare
felici i periodi della prigionia e del confino, proprio perché l’essere “non
libero” lo rendeva “libero” dal dovere di decidere della sua vita e del suo
tempo. E in questa sorta di “inettitudine” consuma la sua esistenza (e quella
di Irén) nel tentativo pericolosissimo e, ovviamente, destinato al fallimento,
di ricreare l’ordine perfetto della propria infanzia, in compagnia di chi non
c’è più, vuoi perché partito, vuoi perché morto o ormai perso in una dimensione
personale e fantastica.
E, infatti, anche il confine fra morti e vivi in questo
romanzo non c’è, visto che Henriett continua a dividersi tra i due mondi, per ricreare
ciò che c’era, ricostruire il passato, sostituendo alla realtà una dimensione
alternativa, nella quale anche lei riesce ad esistere ancora.
Romanzo che ci invita a non perderci nella contemplazione del
passato, ma a guardare alla vita “hic et nunc”, per evitare di perderci in ciò
che non c’è e non può esistere, lasciando sfuggire le potenzialità che il
quotidiano ci offre, anche se non sono immediatamente visibili.
Sublime il prologo, in cui la scrittrice ci fa riflettere su
cosa veramente significhi invecchiare:
”…la fine della giovinezza è terribile non
tanto perché sottrae qualcosa, quanto piuttosto perché lo apporta. E quel
qualcosa non è saggezza, né serenità, né lucidità, né pace. E’ la consapevolezza
che il Tutto si è dissolto.”
SZABO' non la conosco grazie per l'input. Buon week end
RispondiEliminaPurtroppo è poco nota al grande pubblico. Io stessa l'ho conosciuta soltanto l'anno scorso tramite una collega. Fammi sapere che ne pensi, quando la leggerai
Eliminaio invece ho portato avanti con tanta fatica la porta, che per un po' terrò le distanze dalla signora szabo..
RispondiEliminaEffettivamente La porta è il romanzo dal ritmo più lento. Ma non puoi negare che sia bellissimo. La conclusione, poi, è da pelle d'oca
EliminaMi hai fatto venire voglia di leggerlo!
RispondiEliminaGrazie ed un abbraccio Maria
Leggilo...non te ne pentirai. Buon week end
EliminaCome sempre una grandissima, la Szabò. io ho letto a sbalzi, o moltissimo o poco, a seconda di dove e come ero. Buona fine agosto!
RispondiEliminaEffettivamente la lettura va a sbalzi...perché è una scelta di libertà, condizionata da tanti elementi, interni ed esterni. Ma è un'esperienza fondamentale e insostituibile, come tu sai bene.
EliminaGodiamoci gli ultimi scampoli di vacanze...che lunedì si ricomincia!
Io ho in attesa "L'altra Ester"che leggerò al rientro dalle vacanze.La Szabo' merita il massimo della mia attenzione.Complimenti per la bellissima recensione,da brivido per la sua spietata verità il prologo.Una grande,grande scrittrice.
RispondiEliminaLo stesso libro aspetta anche me...ma dopo un paio di libri più "frivoli". La Szabò richiede una fase di decantazione
EliminaSto leggendo "ditelo a sofia" grazie a te! E' meraviglioso. Amo i diversi punti di vista che scoprono l'anima dei personaggi, e Sofia dolce e melanconica. grazie!
RispondiEliminaIl bello di questa condivisione "libresca" è proprio questo:scambiarci quanto ha suscitato in noi emozioni. Grazie a te x aver colto il suggerimento! Buon fine settimana
EliminaNon ho ancora letto nulla di suo....
RispondiEliminaConoscendoti (virtualmente)...penso sia ora di cominciare ;-)
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