Della "Comandante"
Sono gli anni del dopoguerra e in un grosso paese arriva una giovane sposa.
E' una "cittadina" che ha seguito il suo sposo in una casa che non ha mai visto, in un paese che conosce solo per averlo individuato sulla carta geografica.
E' la fine di ottobre e con la sua Lancia piena di tuberose lascia la città per cominciare la sua nuova vita. Il paese non la accoglie bene: nebbia fitta e nella nebbia si aggirano figure intabarrate.
Entra nella sua bellissima casa, che il suo sposo ha costruito con estremo gusto e raffinatezza, ma alla quale manca il tocco femminile. La accoglie la suocera, che lei ancora non conosce perché era troppo vecchia per spostarsi, e le consegna le chiavi degli armadi, delle porte, della dispensa.
E poi va via.
La sua vita di sposa comincia in quell' enorme palazzo vuoto, avvolto nella nebbia, come per la principessa delle fiabe.
Ma il risveglio è più duro. Il paese non è aperto ad accogliere le novità. Questa donna è cittadina, le cittadine sono frivole, spendaccione, poco serie e non sanno fare niente, non sono in grado di gestire una casa. E poi è troppo bella, troppo formosa. Sicuramente mette delle imbottiture negli abiti per migliorare le sue forme. e poi parla in italiano, e che motivo c'è? E poi pare che sappia fare tutto, cuce, ricama...
E se parla non ha l'astuzia paesana del dire e non dire. Non conosce le dinamiche del paese per cui non deve comunicare con chi non appartiene al suo ceto, quindi è sicuramente di basso ceto . Lei non sa che la sua semplicità è vista come espressione di modesta condizione sociale, mentre sua madre le aveva insegnato a non gloriarsi di quel che era e da dove veniva.
Adorava, ricambiata, il suo sposo, che però non le aveva insegnato il codice paesano. Non aveva avuto dei figli perché suo marito, che aveva sprecato la sua giovinezza in due guerre e aveva visto l'orrore dei combattimenti e della prigionia, non voleva "dare alla Patria altra carne da macello"
Crebbe come figli i suoi nipoti e quando il suo sposo se ne andò, lasciandola giovane vedova, indossò il lutto. Per anni e anni non aprì le persiane della sala grande né tolse il fiocco nero dalla porta, rifiutando fior di proposte di matrimonio di quei paesani che avevano avuto modo, in quei vent'anni, di conoscere le sue virtù.
In compenso, come la manzoniana Donna Prassede, governava non su tre conventi e due palazzi, ma sulle case di fratello, sorelle e nipoti. E anche se comandava a bacchetta consigliando, esortando, ordinando in maniera opportuna e inopportuna e, ormai, aveva perso ogni freno inibitorio, tutti la lasciavano fare perché era buona e generosa e tutti compativano il suo destino.
Ad un certo punto comandò pure su Dio.
Era stanca e voleva riposare.
E anche Dio ubbidì.
il Buon Padre,con tenerezza,"accontentò " la sua stanca figlia lasciandole credere che potesse comandare anche su di LUI
RispondiEliminaMi fauna gran simpatia la zia Comandante. Mi ricorda mia madre. Sai che mio padre chiama anche lei la Comandante? :))
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