Della badante

foto dal web

Quando l’aveva conosciuta, bassa e tracagnotta, non le era piaciuta molto. Aveva detto poche parole, si erano accordate per un periodo di prova, aveva acconsentito ad alcune richieste e si era sistemata nella stanza a lei destinata. “Questo è l’armadio per te”. ”Sì, grazie”, ma quando al mattino era arrivata aveva solo una busta di plastica con un cambio dentro, e ogni sera lavava le sue poche cose.
La Genitrice, sempre attenta, aveva capito e con nonchalance le aveva tirato fuori dei vestiti, delle camicie da notte, della biancheria “Ti possono servire? Io ormai non le posso mettere più”. E lei le aveva accolte con gioia e gratitudine perché, come disse poi, era appena rientrata in Italia e non aveva nulla.
Guardandola bene, Dolcezze aveva visto, dietro la lunga treccia e i grandi occhi scuri, un velo di tristezza e la difficoltà del vivere quotidiano. Dall’amica comune aveva conosciuto la sua storia: un marito violento e ubriacone che aveva lasciato al paese, ma al quale doveva mandare soldi, due figli qua da mantenere, perché è difficile trovare lavoro, anche se si cerca un lavoro umile, perché stare con gli anziani non è facile per un giovane e ci vuole l’esperienza di una vita, il dolore di una vita, per accudire dei vecchi che, come tutti i vecchi, tendono a “succhiare” la vita degli altri e a monopolizzarla.
Del primo salario non le è rimasto nulla: lo ha subito speso per l’affitto e per i figli. “E tu?” “Non mi serve nulla: tanto mangio qui” E con pazienza si è adattata a tutte le esigenze della Genitrice, quelle che a volte sono vere e proprie fisime, perché del lavoro ha bisogno.
Anche se capisce l’italiano, lo parla pochissimo: è in trappola, come il Genitore, e come lui rassegnata a non poter comunicare.
Quando ha seguito i Genitori nel Buen Retiro, Dolcezze era preoccupata: la casa piccola, un solo bagno, un’intrusa fra i piedi…e invece lei è stata preziosa e discreta. Sempre presente, ma contemporaneamente invisibile, collaborativa e attenta, ha dato molto da pensare a Dolcezze.

Nelle discussioni (legittime, per carità) sull’integrazione degli stranieri, sul loro “rubare il lavoro agli italiani” e altro, forse dovremmo un attimo riflettere sul fatto che chi arriva qui, nel nostro Bel Paese, non lo fa per il clima gradevole, le bellezze artistiche e la piacevolezza dell’idioma: se non lo fa perché è inseguito da guerra e morte, lo fa perché ha fame.
E per questo ha il diritto di essere accolto e rispettato. Amen.

Commenti

  1. Esatto. Sottoscrivo in pieno. Poi ti trovi il tal disabile con il pallino della scrittura (ahimè) che sceglie come tema proprio loro, le badanti che l'hanno accudito dalla morte della madre in avanti. E veder pubblicato un libro di pettegolezzi sulla sfilza di badanti che ha cambiato, senza nessun rispetto per loro, la loro vita, le loro fatiche mi ha urtato, non poco. Certo, nessuno legge volentieri quei libri infarciti di orrori (ortografia e sintassi NON sono un'opinione, per quanto gli studenti lo desiderino), e il fatto che i contenuti non siano degni tutto sommato scorre via. Non mi resta che nasconderlo in un angolino dell'ultimo scaffale della biblioteca e pregare che non mi venga richiesto.

    RispondiElimina
  2. grazie per questo spaccato di vita...
    troppo spesso dimentichiamo che anche noi siamo stati (e a volte lo siamo ancora!) "migranti economici"!! purtroppo la nostra memoria è spesso troppo corta!!
    :*

    RispondiElimina
  3. Bellissimo post, da molto da pensare.

    RispondiElimina
  4. Non è che trovare una badante italiana sia facilissimo, diciamocelo, quindi il discorso del rubare il lavoro agli italiani in questo campo non è così scontato: tra l'altro le italiane vogliono, giustamente, tornare a casa ogni tanto dalla loro famiglia, mentre gli stranieri che fanno i badanti non hanno casa e questo rende tutto molto più facile per noi (e più triste per loro). La mia famiglia deve immensa gratitudine alla badante singalese di una delle nonne, alla badante polacca dell'altra nonna e, attualmente, alla ottima badante rumena di mio padre. E' un lavoro duro, che richiede grandi doti e io le ammiro molto e ringrazio sempre la mia buona sorte che mi ha permesso di evitare le scelte dolorose che richiede: tra le tante, coraggio, pazienza e spirito di adattamento.

    RispondiElimina

Posta un commento