Dei libri dell'anno 68: Olive Kitteridge
In un romanzo fatto di
racconti narrati da voci diverse, si dipana davanti ai nostri occhi la vita di
una piccola città del Maine, in cui non succede nulla di straordinario, eppure
la vita si presenta in tutte le sue forme. Elemento unificante di tutte le storie
è Olive Kitteridge, un’insegnante in pensione, un donnone con un piede 41 e la
capacità di guardare la realtà con occhio cinico e, a volte, spietato. Alcuni
racconti la vedono protagonista, in altri appare un attimo o è presente solo in
un ricordo, ma alla fine la sua figura appare completa e ci appare più
simpatica. In apparenza Olive è scorbutica, dispotica, incapace di relazionarsi
col marito e il figlio, che pure ama follemente, ma il suo amore è spesso
frainteso e considerato una forma di controllo. Sarà per questo che il figlio
si trasferirà lontano e solo dopo molti anni, e grazie all’aiuto di un
terapista, riuscirà a superare le sue inquietudini. Contraltare di Olive è il
marito, uomo mite e profondamente positivo, aperto al mondo e agli uomini tanto
quanto lei, invece, è apparentemente chiusa. Insieme sono completi e la rottura
dell’equilibrio li segnerà profondamente entrambi. La morte è sempre presente,
ma mai vincente, nonostante tutto, perché la vita è sempre più forte e anche le
vicende più dolorose entrano a far parte del ciclo ineluttabile dell’esistenza,
e vengono accettate come “normali” e non straordinarie. Perché Olive è una
donna forte, che anche negli inverni più cupi pianta tulipani e crede
fortemente che non bisogna avere paura mai, neanche della propria fame,
altrimenti si rimane sciocchi.
Confesso che questo romanzo
mi ha colpito. Mi sono ritrovata in molti difetti di Olive, ma anche nella sua
sostanziale positività (che non deve essere confusa con la rassegnazione).
Grazie alla Strout ho camminato con Olive ripercorrendo ogni giorno la stessa
strada, ho sofferto con lei la lontananza del figlio (“Immagino che sia così
che va il mondo. Però fa male avere il proprio DNA disperso al vento come un
dente di leone”), ho piantato con lei fiori e ho guardato con attenzione il
mondo, ma soprattutto ho ricordato con lei che “l’amore non va respinto con
noncuranza, come un pasticcino posato assieme ad altri su un piatto passato in
giro per l’ennesima volta”, perché dobbiamo ricordarci ”quello che tutti
dovrebbero sapere: che sprechiamo inconsciamente un giorno dopo l’altro”. E
forse l’immagine più strana, ma più perfetta dell’incontro fra due persone è
quella delle due fette di formaggio svizzero premute insieme, che mettono in
comune non soltanto la loro pienezza, ma soprattutto i loro buchi, “i pezzi
che la vita ti levava di dosso”
per il Venerdì del libro
per il Venerdì del libro
Buona serata
RispondiEliminaUn libro da leggere. Grazie per la segnalazione. Buona serata.
RispondiEliminasinforosa
Che bella recensione!!! La Strout è una grande scrittrice, ho amato Amy e Isabelle e ho altri suoi romanzi pronti fra cui questo. Per come be parli non è il momento giusto, mio figlio è partito, l'altro andrà via fra poco, devo trovare un po' di pace dentro di me.
RispondiEliminaNe avevo già sentito dire bene, non so dove e non so quando, forse proprio al Venerdì del libro - sta di fatto che sarebbe nella lista, e forse si avvicina il momento di tirarlo fuori. Non prima della fine della saga dei Cazelet, comunque, e della mia attuale e meravigliosa storia di fantasmi!
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