Di solitudine (e prove d'esame)

Automat, E. Hopper


C’è da riflettere sulle prove di italiano della maturità di quest’anno e non sulle tracce (peraltro a me piaciute abbastanza), ma sulla tipologia preferita dagli alunni, quella sulla solitudine.
Certo, non si tratta di una sorpresa assoluta: l’adolescente è ontologicamente solo, anche se vive in gruppo e non sembra manifestare particolari disagi.
L’adolescente è solo nell’interrogare il suo corpo che cambia, nel vivere i suoi sentimenti contrastanti, nello scoprire l’altra metà del cielo, nel perdersi nella contemplazione di un progetto, di un ideale. L’adolescente è solo nelle sue paure, nei suoi sogni e nei suoi bisogni, nonostante sembri perfettamente inserito nella famiglia, nel gruppo classe e nella comitiva di amici, nonostante, spesso, non se ne renda conto nemmeno lui. In questi giorni ho letto critiche su questa traccia, che è stata definita bellissima, ma inadatta ai ragazzi. 
Non ho la presunzione di avere ragione, ma credo, per esperienza diretta, che la solitudine si impari a conoscerla proprio da adolescenti e che, semmai, si impari a conviverci (e ad amarla) da adulti.
L’adolescente ha verso di essa un atteggiamento duplice: da una parte la fugge, preso da quell’horror vacui che lo spinge a riempire ogni spazio buco del proprio tempo, dall’altro la ricerca, chiudendosi nella sua stanza ed escludendo il mondo.
Tra l’altro la solitudine è una risorsa. Per tirare in ballo Seneca, è il momento privilegiato dell’incontro con sé stessi, della progettazione, dell’analisi e dell’autoanalisi, del silenzio.
E questo è l’aspetto buono. Meno buono è quello dell’isolamento, che mi pare il più diffuso oggi, anche (o forse proprio a causa) dei telefonini e dei social. Non dico certamente nulla di nuovo quando noto che i ragazzi di oggi sono più soli di quanto lo fossimo noi, anche se sono costantemente “connessi”.
Da ragazza io mi sentivo sola. Pensavo che nessuno mi capisse e non parlavo molto di me, pur essendo una ragazza aperta e, a detta di tutti, solare ed estroversa. Spesso mi capitava di cercare la solitudine, proprio per ritrovarmi con me stessa, ma se volevo stare con gli altri mi bastava fare una telefonata, fissare un appuntamento, uscire o ricevere qualcuno. Oggi, per assurdo, è tutto più difficile: non sempre ad un contatto telefonico (o sui social) segue un incontro diretto. Perfino le storie d’amore nascono e muoiono in “contumacia”. E l’adolescente è solo in famiglia, con gli amici, a scuola. Per questo il tema della solitudine mi pare fin troppo adatto ai maturandi.

Che poi per noi adulti la solitudine sia a volte una realtà desiderata (e per gli anziani un incubo temuto) è una certezza, ma forse ne parlerò un’altra volta.



Commenti

  1. La solitudine è una risorsa, eccome!
    Io non ho problemi particolari a stare con la gente, anzi! Però sto benissimo anche da sola. Per molte cose mi basto.
    Non so se sia una questione di carattere oppure se sia un'abitudine consolidata nel tempo. A parte mio fratello e i miei cugini, da piccola, non frequentavo molti bambini e da grandicella mio padre mi teneva sotto una campana di vetro. Quindi, come dire? Mi sono "arrangiata".
    Certo che, adolescenti o meno, al giorno d'oggi siamo tutti molto più individualisti. E, in generale, molto soli.
    Penso che una traccia del genere sia un tema d'esame molto, ma molto azzeccato. Chi sostiene un esame di maturità non è un poppante, è perfettamente in grado di riflettere su un tema del genere.

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  2. Io arrivo a dire che amo la solitudine, ma forse perché non ricordo più com'è veramente e in certi giorni desidero un paio d'ore con la casa vuota e nessuno a cui badare. Mia suocera, quando dico così, mi rimprovera e mi anticipa che mi pentirò di questo pensiero quando avrò il nido vuoto. Mah!

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    1. Penso che tua suocera abbia ragione, sai? Meglio non pensarci però!

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