Dei libri dell'anno 61: Il signore delle anime


Un immigrato levantino, con moglie e figlio appena nato, straniero e allontanato da tutti per il suo aspetto troppo orientale, duro, diverso, quasi da “lupo”, nonostante sia un medico, che ha studiato in Francia e faccia il possibile per integrarsi: protagonista della prima parte del romanzo è la sua fame, fame di cibo e di denaro, fame di clienti e di integrazione, fame di sicurezza e tranquillità. Ma non sembra neanche un medico: il suo vestito è liso, nessuno lo conosce, lui e la moglie sono soli, senza famiglia, senza storia. Nessun nonno e nessuno zio vanno a far visita alla puerpera e al neonato, nessuno cerca le somiglianze e porta doni.
E poi c’è la fame. Dario fa il possibile per garantire casa e cibo a moglie e figlio, si indebita e comincia a cedere al compromesso, pur di sopravvivere. La sua vita è un continuo prendere a prestito per far fronte a vecchi debiti, una corsa per cercare un paziente danaroso che lo paghi e gli consenta di pagare a sua volta.
Un cliente importante, che riesce a curare per un po’, lo inserisce in un giro finalmente redditizio e poco importa che debba fingere competenze psicanalitiche che non ha, poco importa che sia diventato un abile manipolatore delle coscienze, un “ciarlatano”, come viene definito dai suoi colleghi: è un medico à la page, ha moltissimi pazienti (o per meglio dire clienti), fa una prodigiosa scalata sociale che lo porta a diventare un uomo di successo, con case sontuose e con uno stile di vita sfarzoso. In realtà la sua condizione non muta: intrappolato in un circolo vizioso spende per apparire ricco e appare ricco perché spende, ma è sempre a camminare sul filo del rasoio, in mano a creditori sempre più esigenti. E mentre cresce sempre più nel prestigio sociale, precipita sempre di più nell'abiezione morale, ben consapevole di farlo, sotto gli occhi sempre benevoli e misericordiosi della moglie e sotto quelli ogni giorno più critici del figlio adolescente. Sarà lo scontro fra i due, non solo generazionale (“Solo i genitori non hanno alcun potere sull’anima di un adolescente”) a dominare la seconda parte del romanzo.
“Lui ha sempre avuto da mangiare a sufficienza. E’ per questo che non ci intenderemo mai”, dice Dario alla moglie Clara che lo invita a cercare un punto d’incontro col figlio, e a lui che lo accusa per le sue nefandezze risponde: “Tu mi ferisci, mi strazi, ma io, se occorresse, rifarei tutto daccapo: imbroglierei, tradirei, ruberei, mentirei pur di assicurarti un tozzo di pane, una vita più comoda e persino questa tua probità che mi inchioda”. Dario dà pure una spiegazione alla sua bramosia (“Appartengo ad una stirpe di affamati, che non sono ancora sazi, e che non lo saranno neanche fra mille anni!”) e ritorna il tema del sangue, tanto presente nell’opera della Némirovski ( “Soffriamo solo per il nostro sangue, per il sangue e per la carne che ci hanno generato o che abbiamo generato noi.”)
E se alla fine del romanzo apparentemente Dario ha raggiunto l’obiettivo e ha saziato la sua fame, in realtà perde tutto ciò per cui ha lottato e l’opera si chiude senza speranza, neanche per il figlio, destinato, secondo il padre, allo stesso destino.

dopo tanto tempo, per il Venerdì del libro

Commenti

  1. Interessante! Cosa non fare nella vita per vivere in pace con sé stessi! Grazie per la recensione cara Dolcezze.
    Un abbraccio
    Maria

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  2. Di questa autrice ho letto l'ultima opera, rimasta incompiuta, "Suite francese". Amo la sua scrittura e voglio leggere gli altri romanzi. Questo promette bene. Grazie e complimenti per la recensione

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  3. questa recensione mi ha turbato... non credo leggerò questo libro...
    grazie comunque a te che l'hai scritta.. sei stata molto brava a rendere l'idea..
    :*

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