Dei sommersi e dei salvati




Avevo in programma di scrivere un post farlocco, giusto per ricordare che ieri era il terzo compleanno di questo blog e per dire che non me n'ero scordata, ma che avevo avuto tanto da fare, tra cui una bella cosa (un rendez-vous con l'Amicadisempre, la Testimone, la Compagnadiscuola e l'Amicasaggia) e non ne avevo avuto il tempo. Avevo tutto in mente (i ricordi, i bilanci, i numeri...), ma poi una notizia al telegiornale, una di quelle alle quali ci stiamo ormai abituando, perché sono troppo frequenti e ci siamo ormai anestetizzati, mi ha tolto la voglia di scherzare.

In una delle carrette del mare arrivata sulle nostre coste c'era il cadavere di una giovane donna, vegliata da due bambini, la maggiore di nove anni. Il giornalista non sapeva se i due fossero consapevoli della morte della madre e raccontava che erano stati avviati in un centro di accoglienza come tanti altri minori non accompagnati. Per loro si preparava il solito problema del riconoscimento e della sistemazione, quando, all'interno della tuta del bambino, è stato ritrovato scritto un numero di cellulare. L'operatore ha chiamato e ha risposto il padre, che andrà a riprendere i suoi figli. Il giornalista concludeva che, fra tante, è una storia finita bene.

Ecco, questa storia finita bene mi ha turbato tanto. 
Mio figlio ha nove anni, ma non ha il numero di cellulare del papà scritto all'interno della tuta. Non mi ha mai sfiorato l'idea di scriverlo addosso a lui, perché non ho mai pensavo all'eventualità che rimanga solo e non sappia come contattare la famiglia.
Questa madre, invece, lo ha messo in conto. Ha pensato che ci fosse la possibilità, nemmeno troppo remota, che lei non ce la facesse, che i suoi figli rimanessero da soli. Sicuramente ha fatto raccomandazioni di ogni genere alla figlia "grande", ma anche a lei poteva capitare qualcosa, quindi ha fatto ricorso a questo stratagemma: se anche solo il figlio piccolo si fosse salvato, non avrebbe corso il rischio di restare solo e senza nome.
La lucidità di questa donna, la profondità della sua angoscia e della sua paura ma, nel contempo, il suo "dovere" rischiare la vita per dare un futuro ai suoi figli, mi hanno molto commossa. 

E' facile parlare contro gli immigrati, i profughi e l'invasione degli irregolari, seduti su un divano, con i termosifoni accesi e la pancia piena. Forse dovremmo un po' di più pensare alle tante madri che, se affidano a cestini rivestiti di bitume i loro piccoli, è perché sanno che l'unica speranza di sopravvivenza che hanno è quella di essere, anche loro, nuovi Mosè "salvati dalle acque". 


Stasera, quando darò la buonanotte al mio Cucciolo, in lui darò un bacio a tutti gli altri bambini, i sommersi e i salvati,  e non potrò far altro che chiedere loro perdono.

Commenti

  1. Hai detto tutto tu.
    Noi non possiamo fare niente ma la profonda ingiustizia che impera in questo mondo ci obbliga ad interrogarci.
    E intanto in America arriva Trump e il suo integralismo razzista.
    Solo in Dio

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  2. Come sono d'accordo con te cara Dolcezze.
    Si parla tanto degli immigrati ma spesso non si Sto arrivando! niente di loro e del perché della loro scelta.
    Se oltre che parlare cercassimo tutti anche di guardarli con occhi nuovi ed immedesimarci nel loro dolore forse riusciremmo a cambiare le cose.
    Un forte abbraccio
    Maria

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  3. Non è colpa nostra se la (loro) situazione è quella che è, onestamente.
    Ma è colpa nostra non ricordarci quanto rapidamente ci si può trasformare in profughi, irregolari eccetera, senza niente in tasca e con tutto da chiedere, sopravvivenza fisica compresa. Prima di ogni considerazione umanitaria, per questo solo dobbiamo aiutarli in tutti i modi possibili: perché la vita va come vuole, e basta un niente per essere al posto loro.
    (comunque a me la storia che hai raccontato non sembra poi finita tanto "bene", qualsiasi cosa ne dica il giornalista. Grazie all'accortezza della madre è finita un po' meno peggio di come poteva, tutto qui)

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  4. Lo so bene che non siamo direttamente responsabili di tante situazioni, ma mi turba il pensiero che ci stiamo abituando a questo orrore. E poi ha ragione Solsido che parla di ingiustizia, perché si tratta di vittime innocenti, che da un momento all'altro si sono trovate coinvolte in un dramma immenso. e ha ragione Murasaki: basta un niente per trovarsi al loro posto. Per questo non si può essere frettolosi o superficiali nel giudizio.

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